lunedì 12 aprile 2010

Agorà: fantasia o verità?

Alejandro Amenabar, il regista di cinque film—”Mare dentro”, The others”, “Apri gli occhi” e “Tesis”- con sfondo anticattolico, ha vinto ben 15 premi Goya e un Oscar per il miglior film straniero. Questo regista, con il suo ultimo film Agorà, vuole far credere, a tutti noi, che la chiesa “ si dimostra la peggiore banda che mai abbia avuto l’umanità. Oggi la chiesa, se avesse il potere di un tempo, farebbe gli stessi massacri che fece allora e non certo per motivi religiosi ma solo per le ricchezze che potrebbe depredare ancora. Sono stati criminali allora ma lo sono anche oggi.” Questo dice il commento di un ragazzo dell’ articolo di Flavia Amabile , giornalista della Stampa. Lei nel suo blog ci ribadisce che è nelle sale di quasi tutto il mondo, anche a Taiwan, ma che probabilmente l’Italia non vedrà—informazione da verificare perché è nella programmazione di molti multisala – . Perché? Colpa della Chiesa, ovviamente. No, non è così. Il film non sarebbe stato comprato dai produttori per l’alto costo dei diritti e per la preoccupazione di un flop degli incassi(come il precedente”Mare dentro”). La signora Amabile scrive nel suo articolo: ”I produttori l’hanno guardato con attenzione al Festival di Cannes a maggio, quando era stato presentato fuori concorso. Poi una lunga pausa di riflessione. Così lunga e così silenziosa da aver fatto pensare a molti a qualcosa di più di una semplice valutazione dal sapore economico-aziendale. ” Questo qualcosa di più sarebbe sottinteso, ma la giornalista fa capire che sarebbe stata la Chiesa ad attuare questa restrizione. La Chiesa però non vuole togliere questa libertà come ci testimoniano le uscite in Italia di film anticattolici come “IL codice da vinci” e “Angeli e demoni”. Dice Flavia nel suo articolo: “Il film racconta la storia di Ipazia, (Rachel Weisz, l’attrice inglese Oscar per The Constant Gardener), in una Alessandria d’Egitto del IV secolo d.C., provincia remota di un Impero Romano in disfacimento, dove si scontrano tre gruppi religiosi. Cristiani, ebrei e seguaci del culto pagano di Serapide si massacrano a colpi di pietre e coltelli. A nulla vale la giovane saggezza di questa donna filosofa, matematica, astronoma, che vorrebbe fermarli. Cristiani cattivissimi, giudei sanguinari, pagani studenti di astronomia trasformati in soldati, si rivoltano l’uno contro l’altro mentre i romani stanno a guardare. «Le similitudini tra quei tempi lontani e oggi sono molte», aveva ammesso Amenabar alla presentazione a Cannes. «Questo film non è certo contro una o l’altra delle religioni ma contro ogni eccesso, ogni fondamentalismo e ortodossia». E però i cristiani non ci fanno una gran figura: alla religione di Cristo appartengono i parabolani, i monaci che con una mano danno da mangiare ai poveri e con l’altra scatenano massacri.”

Tutti dopo aver sentito queste cose, pur cattolici convinti e praticanti, si scandalizzano di loro stessi e delle loro origini perché appartenenti alla “setta” che ha ammazzato Ipazia tramite uno dei più grandi Santi della storia, il vescovo Cirillo (patrono d’Europa).

La Chiesa però non accetta ciò e non risponde a queste provocazioni, se no la situazione si aggraverebbe.

Quindi il consiglio che ci sentiremmo di dare è di non rimanere impassibili a ciò che ci accade, ma di andare a fondo e verificare ciò che ci viene detto da fonti non completamente attendibili.

Abbiamo però bisogno di una dimostrazione per cui affermiamo che ciò è falso.

La morte di Ipazia

La morte di Ipazia è riportata da tre personaggi diversi in altrettante versioni. Il film Agorà da credito a solo una di queste versioni ( quella di Isidoro di Damascio), affermandola come verità assoluta. La verità è che, ad oggi, non si può affermare quale delle tre varianti si avvicini meglio alla realtà; l’ unica cosa certa è che il regista Alejandro Amenabar, per ottenere il suo scopo: la diffamazione della chiesa ha usato la versione che gli faceva più comodo, senza accennare e avvertire chi guarda il film che la realtà storica potrebbe essere ben diversa.

Vita di Ipazia – Dalla Vita di Isidoro di Damascio, riprodotta nel Suda

Isidoro, nato a Damasco intorno al 480 e morto intorno al 550. Pagano, fu un filosofo neoplatonico e ultimo direttore dell’accademia di Atene. […]Così accadde che un giorno Cirillo, vescovo della setta di opposizione (il cristianesimo), passò presso la casa di Ipazia, e vide una grande folla di persone e di cavalli di fronte alla sua porta. Alcuni stavano arrivando, alcuni partendo, ed altri sostavano. Quando lui chiese perché c’era là una tale folla ed il motivo di tutto il clamore, gli fu detto dai seguaci della donna che era la casa di Ipazia il filosofo e che lei stava per salutarli. Quando Cirillo seppe questo fu così colpito dalla invidia che cominciò immediatamente a progettare il suo assassinio e la forma più atroce di assassinio che potesse immaginare. Quando Ipazia uscì dalla sua casa, secondo il suo costume, una folla di uomini spietati e feroci che non temono né la punizione divina né la vendetta umana la attaccò e la tagliò a pezzi, commettendo così un atto oltraggioso e disonorevole contro il loro paese d’origine. L’Imperatore si adirò, e l’avrebbe vendicata se non fosse stato subornato da Aedesius. Così l’Imperatore ritirò la punizione sopra la sua testa e la sua famiglia tramite i suoi discendenti pagò il prezzo. La memoria di questi eventi ancora è vivida fra gli alessandrini.”

Vita di Ipazia – Dalla Historia Ecclesiastica di Socrate Scolastico Socrate Scolastico (380-450)

Di religione cristiana e di professione avvocato afferma che queste violenze sono molto lontane dallo spirito del cristianesimo. […] Ipazia aveva avuto frequenti incontri con Oreste. Questo fatto fu interpretato calunniosamente dal popolino cristiano che pensò fosse lei ad impedire ad Oreste di riconciliarsi con il vescovo. Alcuni di loro, perciò, spinti da uno zelo fiero e bigotto, sotto la guida di un lettore chiamato Pietro, le tesero un’imboscata mentre ritornava a casa. La trassero fuori dalla sua carrozza e la portarono nella chiesa chiamata Caesareum , dove la spogliarono completamente e poi l’assassinarono con delle tegole. Dopo avere fatto il suo corpo a pezzi, portarono i lembi strappati in un luogo chiamato Cinaron, e là li bruciarono. Questo affare non portò il minimo obbrobrio a Cirillo, e neanche alla chiesa di Alessandria. E certamente nulla può essere più lontano dallo spirito del cristianesimo che permettere massacri, violenze, ed azioni di quel genere. Questo accadde nel mese di marzo durante la quaresima, nel quarto anno dell’episcopato di Cirillo, sotto il decimo consolato di Onorio ed il sesto di Teodosio.”

Vita di Ipazia – Dalla Cronaca di Giovanni, vescovo cristiano di Nikiu

[…]Quando i cristiani vennero avanti, gli ebrei sorsero e perfidamente massacrarono i cristiani e versarono il sangue di molti, sebbene fossero senza alcuna colpa. Al mattino, quando i cristiani sopravvissuti sentirono del malvagio atto compiuto dagli ebrei contro di loro, si recarono dal patriarca. Ed i cristiani si chiamarono a raccolta tutti insieme. Marciarono in collera verso le sinagoghe degli ebrei e ne presero possesso, le purificarono e le convertirono in chiese. Una di esse venne dedicata a S. Giorgio.Espulsero gli assassini ebrei dalla città. Saccheggiarono tutte le loro proprietà e li derubarono completamente. Il prefetto Oreste non fu in grado di portare loro alcun aiuto. Poi una moltitudine di credenti in Dio si radunò sotto la guida di Pietro il magistrato, un credente in Gesù Cristo perfetto sotto tutti gli aspetti, e si misero alla ricerca della donna pagana che aveva ingannato le persone della città ed il prefetto con i suoi incantesimi. Quando trovarono il luogo dove era, si diressero verso di lei e la trovarono seduta su un’alta sedia. Avendola fatta scendere, la trascinarono e la portarono nella grande chiesa chiamata Caesarion. Questo accadde nei giorni del digiuno. Poi le lacerarono i vestiti e la trascinarono attraverso le strade della città finché lei morì. E la portarono in un luogo chiamato Cinaron, e bruciarono il suo corpo. E tutte le persone circondarono il patriarca Cirillo e lo chiamarono ‘il nuovo Teofilo’ perché aveva distrutto gli ultimi resti dell’idolatria nella città”.

Ricordiamo che Socrate visse proprio nel periodo in cui Ipazia venne uccisa. La sua è quindi la versione scritta nel periodo storico più prossimo alla morte di Ipazia; rispetto a Isidoro nato sessantacinque anni dopo il fatto.

Paleari Giovanni, Riva Francesco, Vaghi Alessandro, Valentina Quaini

dal sito http://leveritanascoste.wordpress.com/

domenica 11 aprile 2010

Se il Papa deve essere per forza colpevole…

Cogitoetvolo è un sito laico. Non rientra nelle nostre finalità parlare di cose di chiesa, di religione, di fede, se non riguardano direttamente l'esercizio della ragione (cogito) e della libertà (volo) dei nostri lettori.

Per questo non abbiamo mai pubblicato nulla che riguardasse i continui attacchi che il Papa e la Chiesa cattolica stanno subendo ormai da molti mesi su tanti fronti.

Ma oggi non possiamo tacere. Non posso tacere, perchè mi assumo personalmente la responsabilità di questo articolo. Non posso tacere perchè io amo la verità. E anche chi frequenta questo sito ama la verità.

Per questo ieri sera, quando ho aperto il sito di un noto quotidiano nazionale, sono rimasto letteralmente sconcertato dal leggere in prima pagina, a caratteri cubitali, quello che prima o poi sarebbe avvenuto: riuscire ad incastrare il Papa, che nel 1985, quando era a capo della Congregazione per la dottrina della fede, in Vaticano, coprì l'operato di un prete pedofilo negli Stati Uniti: Il Santo Padre salvò un prete pedofilo, titola ancora oggi quel quotidiano...

Sono rimasto sconcertato. Schifato. Deluso. Non dal Papa che continua a mostrare una serenità ed una eleganza nel gestire queste vicende che probabilmente ha l'effetto di aizzare ancora di più i suoi nemici, che non riescono a scalfirlo minimamente...

Sono rimasto sconcertato perchè io amo la verità e mi sono trovato di fronte all'ennesima vigliaccata di chi ha deciso ormai da tempo di combattere una guerra senza precedenti contro la Chiesa e questo Papa. Ero sicuro che fosse l'ennesima falsità confezionata ad arte. E stamattina ne ho avuto la conferma, quando ho letto come sono andate realmente le cose.

Eccovi l'articolo che ho letto, scritto da un esperto giornalista italiano, Andrea Tornielli:

Cari amici, ieri l’Associated Press ha rilanciato una lettera firmata nel 1985 dall’allora cardinale Ratzinger nella quale si consigliava prudenza sulla riduzione allo stato laicale chiesta da un prete pedofilo americano trentottenne che sarà effettivamente dimesso due anni dopo, al compimento dei 40 anni. Come già accaduto nei giorni scorsi, la lettera è stata presentata come un caso di “copertura” da parte del futuro Papa di un prete pedofilo.

Le cose non stanno così, e nel giro di qualche ora si è potuto verificare il contesto, ricordando che:

  1. all’epoca la Congregazione per la dottrina della fede non era competente sui casi di pedofilia e nella lettera si parla soltanto della dimissione dallo stato clericale, non del procedimento;
  2. la dimissione dallo stato clericale non si decideva prima del quarantesimo anno d’età;
  3. la richiesta era stata presentata dallo stesso sacerdote coinvolto;
  4. Ratzinger ha solo chiesto di approfondire il caso e due anni dopo la dimissione dallo stato clericale è arrivata;
  5. non c’è stata alcuna copertura del colpevole.

La cosa che più mi stupisce non è il fatto che queste lettere (chissà quante ne avrà firmate Ratzinger durante i 23 anni trascorsi ai vertici dell’ex Sant’Uffizio) vengano pubblicate, quanto il fatto che le si lanci e rilanci senza prima verificare i contesti e le procedure, senza cioè approfondire le circostanze per permettere a chi legge di farsi un’idea. Il che sarebbe esattamente il compito del giornalista. Chi scrive ha commesso molti errori in anni di professione, non mi sento assolutamente in grado di dare lezioni o consigli a nessuno. Però mi sembra, da lettore, di essere di fronte a un pregiudizio ormai stabilito - il Papa-deve-essere-colpevole (magari perché tentano di trascinarlo in tribunale) - e con questa lente pregiudiziale si cercano appigli, testimonianze, documenti. Che vengono sbattuti in prima pagina senza verificare il caso e spiegarne le circostanze.

Ma i fatti restano fatti. E chiunque si sia occupato un po’ di Vaticano sa bene che Joseph Ratzinger su queste vicende - gli abusi sui minori - era considerato poco garantista e più di qualcuno storceva il naso anche in Vaticano per la decisione con cui affrontava questi casi. Mi sembra poi del tutto evidente che vi sia un accanimento concertato che punta a delegittimare l’autorità morale della Chiesa, del Papa, per depotenziarne il messaggio.



Mi sembra doveroso precisare che non è mia intenzione minimizzare il problema della pedofilia, che purtroppo esiste anche in alcuni sacerdoti cattolici. Pochissimi, per la verità, ma questo non importa: anche se fosse uno solo questo basterebbe per restarne sconcertati. L'intenzione di questo articolo è quella di smascherare, se mai ce ne fosse bisogno, il vergognoso attacco che offende la verità prima ancora che il Papa e la Chiesa tutta.

Le mie considerazioni terminano qui. Ognuno tragga le sue conclusioni. Aggiungo solo, prima di finire, che ricordo che l'elezione a Pontefice del cardinale Ratzinger fu presentata da molti quotidiani - gli stessi che oggi lo attaccano - come l'avvento al governo della Chiesa cattolica di una persona assolutamente intransigente, rigida, ferrea, quasi un inquisitore... Gli stessi che oggi lo accusano di fantomatiche "coperture" e di un lassismo che è l'esatto opposto di quello di cui lo accusavano prima...

Basterebbe questa considerazione per far emergere molti dubbi su come stanno realmente le cose.

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INTEGRAZIONE ALL'ARTICOLO (sabato 10 aprile, ore 21,00)

Dopo aver letto il commento di Palantir, ritengo utile riportare il testo in latino della lettera di risposta dell'allora Cardinale Ratzinger:

Dal testo (oltre che dal contesto) bisogna partire per giudicare il fatto.

di Saverio Sgroi

giovedì 1 aprile 2010

Ciao Don Vito


Grazie Signore per avermi donato Don Vito...
Un grande uomo, sacerdote ed educatore esemplare che, insieme ai miei genitori, mi ha insegnato ad amare e ad amarti, conducendomi sui passi della fede e della saggezza, virtù che lo contraddistingueva...
Sei stato un profeta e testimone dell'amore di Dio per gli uomini, insegnandomi tanto, accompagnandomi come un vero pastore.
E' incredibile e tremendamente doloroso pensare che ci hai lasciati... Il Signore, che tanto amavi, ha scelto un giorno significativo per prenderti con sé... ciao e grazie per quello che sei stato per me: un grande dono... mi mancherà il tuo affetto paterno e il conforto dei tuoi consigli... ma sono certo che ci ritroveremo un giorno e che da dove ti trovi adesso continuerai ad aiutarci e a volerci bene. Non ho più parole per esprimere la tristezza che attanaglia il mio cuore in queste ore, ma la certezza della Pasqua di Gesù Cristo, ormai prossima, mi dona pace, quella pace che spiritualmente, ora, caro don Vito, posso condividere con te... in attesa di quella Resurrezione in cui mi hai aiutato, mi aiuti e mi aiuterai a credere!

Ciao Don Vito...

Con affetto filiale

Emanuele

mercoledì 10 febbraio 2010

EDUCAZIONE/ Horror e cultura di morte: ecco come combattere la "moda" del nichilismo

C’è nello “spirito del tempo” che stiamo attraversando, una inquietudine ed una perdita di fiducia nel futuro, che corrisponde all’affermarsi di una cultura, per certi aspetti esteriori, edonistica e vitalista, per aspetti più profondi legata al tema della paura e della morte. Elementi rielaborati da mode che si affacciano nei diversi campi (musica, arte, letteratura) oltre che negli stili di vita, soprattutto giovanili, alludono in maniera più o meno esplicita ad una cultura horror. Nel campo educativo stranamente alla paura che serpeggia nelle coscienze degli educatori, spesso sfiduciati e purtroppo dominati dalla convinzione che ormai non abbia senso educare, corrisponde nelle mode ed interessi giovanili una cultura dell’horror che pervade vissuti e stili di vita. Tratto comune di questa stessa paura - ben documentata nel dibattito culturale sul nichilismo- è di fatto l’assenza di un fine di bene, che dia senso e che giustifichi con positività il senso dell’agire e dell’educare. È il pensiero debole che affacciandosi nell’educazione, riduce a moralismo (che sappiamo valere zero) il senso della relazione, del bene, del bello, del giusto.
Se nulla infatti ha senso cosa resta? Un Ego da risarcire e da affermare, anche se nelle forme più assurde e perfino a volte disperatamente spietate (vedi le tante Bestie di Satana e Meredith). È così che nel mondo delle esperienze giovanili tendono sempre più a svilupparsi e a fondersi i fenomeni della droga, del bullismo, della banalizzazione della sessualità, del disprezzo delle relazioni e della vita, revival di paganesimo e di occultismo. Si sottovaluta il significato di queste componenti dell’immaginario giovanile che poi non è tanto distante da quello dell’uomo d’oggi. Di un uomo apparentemente razionale, che rimuove sempre più le dimensioni dell’ignoto e del mistero salvo poi farle riemergere in forme irrazionali (a volte esoteriche) nelle infinite contraddizioni dei suoi vissuti. Da due secoli circa, (e oggi con intensità mai prima sperimentata, attraverso l’eugenetica di massa) si riaffaccia il mito dell’uomo che si fa da solo e che può dare e togliere (oppure darsi e togliersi) la vita. E’ il mito frankensteiniano, quanto mai attuale, che ripropone oggi un uomo oscillante tra “disperazione del non senso” e “delirio di onnipotenza”: dalle emozioni delle pasticche in discoteca alla dolce morte.
A volte sembra che l’infierire del branco sul ragazzo più debole se non disabile, l’allungare le mani sulla professoressa, gli intriganti e perversi giochetti di manipolazione delle coscienze di tante trasmissioni alla Maria De Filippi, corrispondano ad un unico disegno assurdo ma profondamente coerente cinico e disperato. È il disegno di un mondo in cui, la semplicità e la dimensione della bellezza è brutalmente violentata e rimossa. Roba da bacchettoni, da chierichetti, da gente che non ha capito niente della vita. È grande la sfida che la scuola e l’educazione dovrebbe accogliere uscendo dalla logica degli interventi parziali, che intervenendo solo sugli epifenomeni (tabagismo, droga, bullismo, sessualità, legalità) non riesce a cogliere il problema nella sua totalità, che è di senso, cioè di senso smarrito delle cose, dell’agire e purtroppo anche del vivere. Sarebbe allora interessante scoprire il senso di tali condizionamenti culturali in atto, affrontando “a volto scoperto” la sfida.
Faccio un esempio: studierei con i miei alunni i testi di canzoni rock sataniche di Marylin Manson, analizzerei il personaggio e decodificandone i segni si giungerebbe a svelare la menzogna del messaggio: “io i faccio da solo e sono padrone di me di tutto”. E allora sì che mostrerebbe tutta la sua pregnanza e il suo fascino riprendere “la Divina Commedia”, per ritrovare gli stessi temi affrontati con lo spessore e la sapienza e l’orizzonte dei veri grandi. Sperimentando – è chiaro che bisogna crederci – la positività di una risposta alle eterne domande sulla ricerca di senso. Probabilmente gli adulti e la scuola, se avessero il coraggio di guardare i ragazzi per quello che sono, potrebbero fare tantissimo: se solo ci si ponesse, uscendo dagli schemi comodi e rituali, in una feconda posizione di ascolto curioso ed esperto. È un passaggio delicato: è decisivo quest’atteggiamento di ascolto curioso ed esperto; presente solo nei grandi educatori (famosi e anonimi), costituisce la condizione essenziale perché abbia senso l’azione (o meglio la relazione) educativa. Sia che questa si avvalga di nuove metodologie didattiche non ridotte a rituali (“ricerca azione” e “didattica laboratoriale”) sia che prevalga la spontanea passione e creatività dell’insegnante.
È ancora una volta decisiva in questa sfida in atto, di cui purtroppo non si coglie la portata epocale, la centralità dell’ adulto (sì, dell’educatore) che “voglia mettersi in gioco” e che non riduca sperimentazioni e positive spinte innovative ai vuoti rituali del “registro e delle carte a posto”. È il senso della vita in discussione e il tema è troppo importante per non parlarne e non assumersene la responsabilità.

(Franco Lorusso da www.ilsussidiario.net)

lunedì 8 febbraio 2010

Pensando alla morte di Sandro

Pensando alla morte che ha carpito Sandro, riflettevo su quanto sia preziosa la vita e su come si perdano tante occasioni giudicando le persone, sparlando e creando fratture invece che ponti e riconciliazioni...La vita è una sola e dovremmo cercare di viverla al meglio, amando senza riserve e perdonando, invece che sprecarla nei rancori, nel facile costume del pettegolezzo malevolo che alimenta il sospetto e l'inimicizia.
Ieri mi sono sentito molto solo, pur desiderando anch'io un po' di conforto... Nella sofferenza degli altri ho trovato muri gelidi più che braccia aperte di condivisione dei sentimenti e delle forti emozioni di quel momento...
In verità, sono stato già ucciso in questa parrocchia, tempo fa... attraverso un giro di calunnie su di me, che mi hanno arrecato tanto dolore...ho perduto delle amicizie, che ieri ho sperato di ritrovare, ma non è stato così... pazienza... per ora...
E' un momento di crescita anche questo: fare i conti con una gestalt aperta che quando si sfiora fa ancora un po' male...
C'è una gioia, però, e nasce dall'ascolto che mi ha donato il mio amore, dall'abbraccio con Gianni, dalla condivisione di un'emozione forte al telefono con don Antonio e dall'sms di Gabriele, dal pianto di Simona, da Cristian, col quale è bastato un saluto commosso per dirci tutto, Daniele C. e Cassandra, che non vedevo da secoli ma il cui abbraccio mi ha fatto bene...
Pochi sguardi e pochi cuori incrociati fra la gran folla immersa nel dolore...capaci, però, di donarmi un po' di colore e calore...
In fin dei conti, allora, non ero poi così solo...

Franco Basaglia, la rivoluzione nel mondo della psichiatria e della malattia mentale

« Dal momento in cui oltrepassa il muro dell'internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale ([...]); viene immesso, cioè, in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione.

Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell'individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell'internamento. L'assenza di ogni progetto, la perdita del futuro, l'essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l'aver scandita e organizzata la propria giornata su tempi dettati solo da esigenze organizzative che – proprio in quanto tali – non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno: questo è lo schema istituzionalizzante su cui si articola la vita dell'asilo »


Questo dichiarava Franco Basaglia a proposito delle condizioni in cui erano costretti a vivere, prima della legge che egli stesso istituì nell’1978, i malati mentali. Il 7 e l’8 febbraio su Rai Uno è in onda la fiction “c’era una volta la città dei matti” che racconta il lavoro dello psichiatra italiano diventato famoso in tutto il mondo per avere distrutto il regime “carcerario”, eprhcè di questa trattasi dei manicomi. Un’interpretazione straordinaria quella di Fabrizio Gifuni nel ruolo di Basaglia, ma anche di tutto il cast che interpreta magistralmente emozioni difficili, vissuti complessi.


Una fiction curata, dettagliata, realistica e priva di faziosità che rende perfettamente l’idea di quanto rivoluzionario sia stato il lavoro di quest’uomo che, insieme ad un’equipe straordinaria e alla grande complicità della moglie, è riuscito a mettere in pratica qualcosa di assolutamente unico e ha ridato dignità ad uomini che non ricordavano più di appartenere al genere umano perché, come egli stesso dichiarava, “erano stati trattati per così tanto tempo da bestie, da avere dimenticato il loro essere umani”.


A Franco Basaglia , come detto, si deve l'introduzione della "legge 180/78", dal suo nome chiamata anche Legge Basaglia, che introdusse una importante revisione ordinamentale sui manicomi e promosse notevoli trasformazioni nel trattamento delle malattie mentali.

sabato 6 febbraio 2010

Ciao Sandro... Lettera a G (video)



Dopo un giorno di silenzio, per far parlare l'anima e sgonfiare il cuore dal dolore...
dopo aver ricordato quello che abbiamo vissuto insieme, soprattutto le tante e interminabili partite di calcetto dove praticamente era sempre una sfida fra me e te, i migliori delle rispettive squadre (senza falsa modestia, lo sapevamo io e te di essere forti e quando capitavamo nella stessa squadra erano dolori per gli altri!)...non potrò mai dimenticare la tua risata e la tua esplosiva, esuberante voglia di vivere!!
Al termine di questo viaggio, anche se non ci siamo mai frequentati più di tanto e non c'era un'amicizia concreta, ma un legame c'era comunque...
Voglio salutarti così, allegando questa canzone di Luciano, tuo e mio..."nostro" grande MITO, che sembra aver scritto queste parole proprio per te, per oggi...
Insieme alle sue parole e alle lacrime che gonfiano i miei occhi ma non vogliono uscir fuori, ti mando il mio pensiero, la mia preghiera e tutto il mio affetto...
Ciao Sandro, un giorno ci ritroveremo, lo so...e sarà un'altra bella partita!!

giovedì 4 febbraio 2010

Adolescente si uccide, l'annuncio su Facebook

Lo studente di 17 anni si era iscritto ad un gruppo chiamato "Hai mai pensato di farla finita?"
04 febbraio, 14:29 dall'ANSA


TREVISO - Pochi giorni prima di uccidersi, sparandosi con il fucile da caccia il padre, si era iscritto su Facebook ad un gruppo di discussione chiamato "Hai mai pensato di farla finita?". Lo studente di 17 anni di Ponte di Piave (Treviso), che martedì si è tolto la vita lasciando un biglietto ai genitori per spiegare il suo male di vivere, aveva già affidato al social network un evidente indizio della sua intenzione di farla finita. Il ragazzo si era iscritto al gruppo il 29 gennaio scorso alle 19.07, riportano i giornali locali, segno che stava già meditando il tragico gesto che poi quattro giorni dopo ha messo in atto. Sul web lo studente-modello aveva lasciato anche un 'indizio' di come stava meditando di uccidersi: qualche giorno prima si è seduto davanti al computer e ha inviato la foto di un fucile a un gruppo dedicato alle doppiette, proprio come quella del padre che poi ha imbracciato per farla finita.

mercoledì 3 febbraio 2010

Troppo internet? Rischio depressione

UNO STUDIO DELL'UNIVERSITÀ DI LEEDS
Troppo internet porta alla depressione
È possibile che chi sostituisce le relazioni sociali reali con quelle virtuali sia più a rischio isolamento e depressione



MILANO- L'utilizzo eccessivo di internet potrebbe causare depressione. Ma potrebbe essere anche il contrario: cioè chi è già più incline alla depressione è maggiormente spinto a passare molte ore sul web. È il risultato di uno studio pubblicato sulla rivista Psychopathology. Gli esperti dell'Università di Leeds hanno intervistato 1.319 persone tra 16 e 51 anni raccogliendo dati sul loro uso di internet e valutando la presenza e l'entità di sintomi depressivi; l'1,2% del campione è risultato affetto da dipendenza da web ed è emerso che l'essere connessi per un tempo eccessivo è associato a sintomi depressivi. È possibile che chi usa troppo internet al punto da sostituire le relazioni sociali reali con quelle virtuali sia più a rischio isolamento e depressione.
DEPRESSIONE - «La nostra ricerca indica che l'uso di internet è associato a depressione», spiega Catriona Morrison, che ha guidato lo studio, «ma ciò che non sappiamo è se c'è un meccanismo di causa-effetto, ovvero se internet causa la depressione o se invece chi è depresso tende a collegarsi di più al web. Quello che invece è chiaro», aggiunge Morrison, «è che per un piccolo sottogruppo di persone l'eccessivo utilizzo del web potrebbe essere una spia allarmante di una tendenza alla depressione».

GIOVANI - Nel corso della ricerca il gruppo di lavoro ha controllato giovanissimi, ragazzi ma anche adulti che usano la Rete per lavoro. Scoprendo che a rischiare di cadere nella trappola della dipendenza sono più spesso i più giovani: l'età media del gruppo degli «intossicati» è infatti di 21 anni. La ricerca «rinforza i timori già sollevati dagli esperti: farsi prendere troppo dai siti web fino a sostituire le normali funzioni sociali potrebbe essere collegato a problemi piscologici come, appunto, depressione e dipendenza», dice la ricercatrice. Inoltre se appena l'1,2% dei soggetti monitorati è risultato «drogato» del web, il problema comunque ha un'incidenza maggiore rispetto ad esempio al gioco d'azzardo patologico, che in Gran Bretagna è dello 0,6%.

Redazione online del Corriere della Sera
03 febbraio 2010

martedì 2 febbraio 2010

Inauguro il mio blog con questo articolo sulle dipendenze...

Scoperta a Napoli una nuova terapia per la dipendenza da cocaina e crack

La dipendenza da cocaina si avvia a rappresentare una delle emergenze sanitarie presenti non solo nel nostro paese, ma a livello dell’intera società occidentale.

Da oltre un ventennio la diffusione della cocaina negli Stati Uniti d’America ha assunto la portata di una vera e propria epidemia. I dati provenienti dal “National Household Survey” indicano che negli USA la cocaina è usata da 2,3 milioni di persone, 5 volte di più di coloro che assumono eroina (Substance Abuse and Mental Health Administration, 2004).

Dal 1990 il consumo di cocaina in Europa sta assumendo lo stesso andamento statunitense e i disturbi correlati all’uso di cocaina stanno divenendo sempre più dilaganti (EMCDDA, 2004). L’incremento dell’uso di cocaina nelle donne è raddoppiato negli anni dal 2001 al 2005; anche per i maschi abbiamo assistito ad un aumento dei consumatori di cocaina passando da una prevalenza del 2,6% nel 2001 al 4,3% nel 2005. I dati diffusi nel 2005 dal Dipartimento Nazionale Antidroga indicano anche la progressiva riduzione dell’età d’inizio del primo consumo (tra 11 e 17 anni).

In Europa il suo consumo “é in costante crescita”. Ne fanno ricorso, oramai, oltre 4 milioni di persone. Essa è di gran lunga “la sostanza stimolante più diffusa nella maggior parte dei paesi della “Vecchia Europa”.

Gli studi effettuati in campo farmacologico sono stati, finora, poco produttivi, probabilmente per la scarsa conoscenza dei correlati neurobiologici della dipendenza cocainica, sia relativa alle condizioni pre-patologiche che allo stato cronico di dipendenza.

La cocaina, una volta assunta dal soggetto, svolge la propria azione è a livello recettoriale bloccando il meccanismo di “ricaptazione” della dopamina inibendo il carrier che si trova sulla membrana sinaptica che ha la funzione di “richiamare” all’interno il neurotrasmettitore. La conseguenza è che il neurotrasmettitore permane per molto più tempo nello spazio intersinaptico, determinando, così, una massiccia stimolazione dei recettori, e ciò crea le sensazioni di gratificazione rendendo il consumatore “iperattivo”. L’attività farmacologica della droga è legata prevalentemente all’azione sui recettori dopaminergici post-sinaptici ed è correlata all’aumentata quantità di dopamina presente nel sistema limbico (a livello del nucleo accumbens).

Complessi meccanismi di neuroplasticità e neuroadattamento, che coinvolgono anche i recettori per gli oppioidi, stabilizzano la formazione di circuiti neuronali iperfunzionanti, determinando, così, le dinamiche neurobiologiche che sostengono la dipendenza.

Negli ultimi anni l’attenzione dei ricercatori si è rivolta a varie classi di farmaci, dai dopaminoagonisti agli anticonvulsivanti, fino ad arrivare ai farmaci antipsicotici, tuttavia tali sforzi, sino ad oggi, non avevano ancora prodotto risultati univoci né definitivi.

Nel mese di Novembre dello scorso anno sono stati presentati, al convegno regionale della Federazione dei Servizi per le Dipendenze, i primi risultati di uno studio effettuato a Napoli dal Dott. Vincenzo Barretta e dai suoi collaboratori. E’ stata individuata una strategia di intervento farmacologico in grado di agire sulla dipendenza da cocaina, riducendo il craving per la sostanza.

I risultati sono stati molto interessanti, poiché una elevata percentuale di soggetti grazie alla nuova terapia, è riuscita ad allontanarsi dalla droga.

Grazie all’associazione di varie molecole operanti in sinergia, viene consentito l’utilizzo di bassi dosaggi dei farmaci, con un profilo di effetti collaterali assolutamente trascurabile. Considerando che fino ad oggi non erano state individuate terapie specifiche per la disassuefazione dalla cocaina, tale successo risulta particolarmente importante.

Vincenzo Barretta, Psichiatra e Psicoterapeuta, ha inoltre inserito il trattamento farmacologico all’interno di un programma multidimensionale elaborato ad hoc, che prevede interventi psicologici, counseling ed altre terapie in modo da migliorare e prolungare i benefici del trattamento.